– IPOTESI –

ENTANGLEMENT QUANTISTICO

E RICERCA DI INTELLIGENZE EXTRATERRESTRI

A cura di Massimo Teodorani

Il fatto stesso che all’atto dell’osservazione (tramite una misura di qualche tipo) abbia luogo il collasso della funzione d’onda che descrive due o più stati legati da entanglement quantistico impedisce che il secondo stato possa ricevere dal primo informazione che possa essere misurata. Infatti proprio la misura distrugge quel legame e nessuna informazione può essere estratta, anche se in assenza di un osservatore che misura esiste una informazione simultanea che si trasferisce da uno stato all’altro.

Immaginiamo che quei due stati siano tipicamente due particelle elementari che abbiano interagito tra di loro almeno una volta, e immaginiamo di separare le due particelle: una rimane nel nostro laboratorio, e l’altra viene portata in un altro laboratorio che si trova molto lontano dal primo. Accadrà che nel momento in cui osserviamo (ad esempio usando un microscopio elettronico) la particella nel nostro laboratorio essa verrà istantaneamente modificata nei suoi parametri quantistici. Ad esempio se si tratta di un elettrone il suo spin verrà istantaneamente modificato da +1/2 a -1/2, ma in quell’esatto istante la particella lontana avrà il suo spin che passa da -1/2 a +1/2. Si dice dunque che le due particelle sono correlate da entanglement quantistico, peraltro predetto già con il famoso esperimento mentale che portò al “Paradosso EPR” oltre 30 anni prima che l’esistenza dell’entanglement fosse confermata sperimentalmente dal Dr. Alain Aspect nel 1982.

Tuttavia nel momento in cui l’osservatore lontano tenterà di confermare il cambiamento egli non riuscirà mai a vedere che la particella nel suo laboratorio lontano ha il suo spin che è diventato +1/2, perché nell’osservarla cambierà il suo spin di nuovo a -1/2, e ovviamente l’inversione dello spin si verificherà anche nella particella nel nostro laboratorio. Ne consegue che nessuna informazione inviata per entanglement può essere misurata senza essere perturbata dall’atto dell’osservazione. Solo quella particella conoscerà quell’informazione, e non noi che osserviamo. Per cui trasmettere informazione per mezzo dell’entanglement quantistico è di fatto impossibile, proprio per via del principio di indeterminazione che sta alla base della meccanica quantistica.

E’ però possibile trasferire informazione tramite il teletrasporto quantistico, utilizzando due coppie di particelle entangled, nel qual caso è possibile trasferire informazione da un trasmettitore ad un ricevitore lontano. Per poter fare questo è necessario piazzare un ricevitore nel punto di arrivo, prima di effettuare l’esperimento. E’ allora fin troppo ovvio che utilizzare il teletrasporto quantistico per far saltare istantaneamente informazione da un punto all’altro dello spaziotempo ci impone delle condizioni proibitive: quella di andare prima con mezzi convenzionali (a velocità di molto subluminale) al punto di arrivo e piazzare un ricevitore proprio lì, il che richiederebbe un tempo di viaggio assurdo se la distanza è di diversi anni-luce, o molto di più (no, questo non è il metodo di teletrasporto visto nella serie Star Trek). La ragione di tutto questo è che per confermare la ricezione di una informazione per via quantistica occorre un mezzo classico, ovvero un sistema che invii informazione tramite un segnale elettromagnetico. Per cui il ricevitore potrebbe confermare l’avvenuto teletrasporto solamente tramite onde elettromagnetiche, che non sono istantanee ma vanno solo alla tartarugata velocità della luce. Ecco dunque che il teletrasporto quantistico andrebbe bene per scambiare informazione solamente a brevi distanze, magari a quella Terra-Luna, ma non a distanze troppo grandi (sulla scala degli anni-luce, ad esempio), perché occorrerebbero anni per ottenere la conferma dell’avvenuto teletrasporto (che è sempre di informazione, e mai un vero teletrasporto fisico), anche se nel sistema di riferimento dello stato quantistico in sé (sia a livello di trasmissione che di ricezione) l’informazione verrebbe percepita all’istante, ma solo da quello stato quantistico e non da noi che osserviamo. Quindi l’entanglement quantistico e il suo derivato teletrasporto (o anche la crittografia quantistica) serve poco o nulla per scambiare informazione istantaneamente.

Facciamo adesso l’ipotesi non-canonica che l’entanglement descriva anche la telepatia tra due persone, al posto di due particelle. Ovviamente di tutto questo non esiste alcuna dimostrazione scientifica sulla base di un modello fisico matematicamente strutturato, ma solamente delle impressionanti descrizioni qualitative e a volte anche “conferme sperimentali” usando la risonanza magnetica nucleare dei cervelli delle due persone dopo che una di esse è stata stimolata da qualcosa. Ne risulterebbe che effettivamente in questo caso verrebbe trasferita istantaneamente informazione dalla psiche di una persona alla psiche dell’altra persona, perché ci si aspetta che la psiche, a differenza di uno strumento di rilevazione di eventi fisici, non sia un sistema fisico di “osservazione” che fa collassare la funzione d’onda che unisce quella coppia di persone. Quindi il ricevente registrerebbe istantaneamente una informazione dall’altra persona, magari sotto forma di immagini, odori, suoni, o perfino parole. Il problema è che questa informazione del tutto soggettiva non è minimamente misurabile, se non con un raccontino, il che viola i criteri di scientificità e riproducibilità. La persona che ha ricevuto il messaggio telepatico ne è pienamente cosciente ma non può registrarlo numericamente da nessuna parte se non dentro la propria coscienza. Ecco perché, almeno fino a quando non disporremo di una teoria matematica in grado di descrivere la fisica che sta dietro alla telepatia (che potrebbe descrivere un processo che somiglia all’entanglement ma magari è quello + qualcos’altro che ancora non conosciamo) allo stesso modo in cui descriviamo matematicamente qualunque teoria fisica, la telepatia non esiste per la scienza, anche se esiste per la coscienza del singolo o forse anche di un qualche gruppo di persone legate tra loro da un qualche vincolo comune.

Insomma, sembra che non ci si possano cavare i piedi e che la trasmissione istantanea di informazione sia del tutto irrealizzabile o per via dei vincoli imposti dalla teoria quantistica o per via dei limiti dovuti alla non-misurabilità dell’informazione telepatica.

Eppure potrebbe esserci davvero un modo per acquisire scientificamente una informazione inviata tramite il meccanismo dell’entanglement. E qui mi riferisco alla ipotesi del Dr. Fred Thaheld, biofisico quantistico statunitense. Questa ipotesi postula che dal momento che prima dell’inflazione cosmologica tutto dell’universo conosciuto era contenuto in una singolarità che poteva dunque interagire con se stessa, dopo l’espansione e la formazione dell’universo per come lo conosciamo oggi, quell’antico legame sia stato mantenuto. Non sappiamo come e dove cercare questo antico legame di entanglement, e sulla base di quali parametri fisici. E anche se li trovassimo non servirebbe a ricevere informazione per via dei motivi sopra discussi. E’ però ovvio che se questo entanglement fosse diffuso ovunque, magari anche grazie alle particelle virtuali del vuoto quantistico che funzionerebbero da “triangolazione” tra il vuoto e la materia particellare (come alcuni fisici teorici ritengono), esso andrebbe ad agire anche sulla materia semi-macroscopica, come ad esempio i neuroni del cervello, i quali sono composti a loro volta da microtubuli, a loro volta fatti di molecole, atomi e particelle. Supponiamo che le condizioni presenti nel cervello possano permettere di evitare il fenomeno della decoerenza (come fa rilevare l’anestesiologo Stuart Hameroff, per via di un particolare “gel” isolante all’interno dei microtubuli, che di fatto esiste), cosa che distruggerebbe l’informazione quantistica, allora potrebbe avvenire davvero uno scambio di informazione. E l’informazione sarebbe questa volta misurabile, dal momento che in questo caso non avremmo più solo due stati quantistici che comunicano tra di loro tramite entanglement, ma avremmo uno stato quantistico che (anche da molto lontano) comunica istantaneamente con un altro stato quantistico il quale poi innescherebbe processi dentro uno stato classico, che è di fatto misurabile deterministicamente. Quale stato classico? Il tracciato bioelettrico EEG del cervello, secondo il Dr. Thaheld.

A quel punto basterebbe andare a vedere cosa succede dentro questo tracciato EEG, ignorando del tutto l’ampiezza e la morfologia delle sinusoidi delle onde cerebrali alle varie frequenze, ma verificando se all’interno del “noise” cerebrale, studiabile dopo aver rettificato con una interpolazione polinomiale le sinusoidi ad una retta, esistono dei segnali codificati che possano essere decodificabili, ma soprattutto che possano essere rilevati usando un algoritmo di tipo FFT o KLT. In questo modo sarebbe possibile trasmettere via entanglement (che in questo caso funzionerebbe solo come un “trigger”) informazione anche complessa direttamente nel cervello, e la cosa sarebbe misurabile sempre che questa ipotesi di lavoro non sia confutata in fase di test.

In sintesi: verrebbe usato un meccanismo quantistico che funziona come innesco di una informazione che verrebbe poi rilevata con un metodo classico, dove non sussista alcun collasso della funzione d’onda. E’ fin troppo evidente che questa ipotesi è dimostrabile o confutabile analizzando il tracciato bioelettrico cerebrale di una persona, utilizzando la massima risoluzione possibile nel dominio delle ampiezze, delle frequenze e dei tempi, e poi, dopo la rettificazione polinomiale del tracciato, scansionando il tracciato con un sofisticato algoritmo identico a quello utilizzato nell’analisi di segnali SETI (Search for Extraterrestrial Intelligence), e magari verificando anche se in presenza di un eventuale segnale anomalo il rapporto tra le ampiezze delle sinusoidi (ad esempio tra le onde Alfa e le onde Theta) va soggetto a particolari variazioni, anche perché non sappiamo se tali segnali misurabili siano correlati con eventuali “immagini telepatiche” percepite proprio nel momento dell’arrivo del segnale direttamente nel cervello.

Il bello in tutto questo è che un esperimento del genere può essere di fatto eseguito, dato che abbiamo tutti i mezzi per farlo, utilizzando un campione selezionato di persone. Se l’ipotesi non venisse confutata (il che è possibile, ma non esattamente probabile), allora dimostreremmo due ipotesi: 1) il meccanismo dell’entanglement è diffuso ovunque nell’universo perché la materia (animata e non) in esso non ha mai perso il “ricordo di una antica interazione” avuta prima del big Bang; 2) altre civiltà particolarmente avanzate nell’Universo, anche distanti miliardi di anni-luce da noi, o perfino provenienti da altri universi o altre dimensioni, hanno la tecnologia per trasmettere e ricevere (in tempo reali) messaggi intelligentemente codificati usando proprio questa metodica.

Dove nascerebbe tutto questo? Magari all’interno di un laboratorio di un pianeta appartenente ad una stella di una galassia lontanissima, dove cellule neurali verrebbero irradiate da fasci Laser, la cui ampiezza verrebbe modulata magari con tempi dell’ordine del nanosecondo in maniera tale da contenere un intero messaggio, che poi il ricevente dovrebbe identificare e poi decodificare. Magari in questo modo qualcuno potrebbe inviarci tutti i piani per costruire una nave spaziale in grado di teletrasportarsi direttamente sul loro pianeta tramite il meccanismo del teletrasporto quantistico-relativistico imboccando ben precisi “tunnel spaziotemporali” i cui imbocchi magari potrebbero essere sparsi qua e là in alcune zone del nostro pianeta o in prossimità dello stesso (se fossimo così fortunati). E il bello è che questi signori potrebbero anche fornirci tutte le istruzioni su come inviare una nostra risposta in tempo reale e su come fare noi ulteriori domande per capirci di più, utilizzando anche noi cellule neurali nel nostro laboratorio.

Fantascienza? Per ora, ovviamente, tutto questo è di fatto fantascienza. Ma non è fantasia, perché in linea di principio, grazie alla grande idea del Dr. Thaheld, l’esperimento è fattibilissimo: cioè sarebbe possibile dimostrare scientificamente che qualcuno comunica con noi usando questa ben precisa modalità. E io cosa ne penso? Penso che al momento non esiste il minimo straccio di prova scientifica che le cose stiano realmente così. Ma la parte più profonda di me “sa” che è tutto vero, il che è ancora più motivante per me a tentare l’esperimento. Nel mio libro The Hyperspace of Consciousness ( https://www.facebook.com/hyperspace.teodorani.15/ ) ho parlato di questo e molto altro, in grande dettaglio.

E’ fin troppo ovvio che, dopo quanto ho scritto qui, il Tempio degli Zeloti si appresti adesso a gridare prontamente allo scandalo, snocciolando pagine e pagine di quella bibbia. Ma non me ne può fregar di meno, dato che, per amor di esplorazione (cosa per la quale io non guardo in faccia a nessuno), a volte, pur difendendo sempre e al massimo grado il metodo scientifico (che è l’unico che mi interessa), non esito a sputare nell’acquasantiera se questo serve a spingere la scienza in avanti. Il che, come so, ha un costo salatissimo: ma è ciò che desidero. E’ la storia stessa della Scienza che ce lo insegna. Alcuni scienziati, per avvicinarsi alla verità (appunto scientifica), sarebbero disposti a dare la loro vita (ma non a vendere la loro anima, in termini Faustiani), pur di raggiungere il risultato. In fondo che valore ha la loro singola vita, quando forse nell’Universo siamo N miliardi di vite coscienti tutte legate tra loro che non sanno di esserlo eccetto alcuni? Qui si tratterebbe di svegliare molte persone da una “ibernazione” durata 14 miliardi di anni. Perché forse, a parte la limitazione della velocità della luce e delle leggi della fisica classica, potrebbe esistere un metodo tramite il quale l’Universo potrebbe lo stesso comunicare con sé stesso in tempo reale. E questo, già da tempo, lo avevano intuito anche fisici come Wolfgang Pauli e David Bohm.

L’articolo con l’ipotesi del Dr. Fred Thaheld si trova qui: https://arxiv.org/ftp/physics/papers/0608/0608285.pdf


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Dott. Massimo Teodorani

Dopo essersi laureato in astronomia con una tesi teorico-matematica sulla evoluzione fluidodinamica di un residuo di supernova, ha successivamente conseguito il dottorato di ricerca in fisica stellare con una tesi osservativa sulle stelle binarie strette di grande massa e relativi trasferimenti esplosivi di massa. Ha lavorato presso gli osservatori di Bologna e Napoli e al radiotelescopio del CNR di Medicina (BO). In parallelo alla ricerca astrofisica ha condotto ricerche in fisica dei plasmi atmosferici con particolare interesse per il “fenomeno luminoso di Hessdalen”, dove come direttore scientifico ha svolto diverse missioni sul campo. Svolge tuttora ricerche teoriche nel campo del progetto SETI e prosegue la sua ricerca sulla fisica dei fenomeni luminosi anomali.

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